Una mano morta, stecchita e maleodorante. Perfino il capitano dell’VIII Brigata dell’esercito colombiano, uomo rotto a tutto, abituato a ogni sorta di orrori, è rimasto per qualche secondo senza parole quando il tipo ha tirato fuori dalla sacca quel relitto macabro e l’ha poggiato, soavemente, davanti a lui. “Questa è la prova, signor capitano”, ha detto Rojas come nei migliori film d’azione. “L’unica possibilità che avevamo di sopravvivere era ammazzare il comandante”.
Rojas è un guerrigliero delle Farc e il comandante di cui ha sacrificato la vita è nientemeno che Manuel Jesús Muñoz Ortiz alias Iván Ríos, uno dei sette capi di quell’organizzazione, il membro più giovane del Segretariato. O meglio lo era, perché dal 3 marzo scorso è solo un cadavere, per di più monco. Lo hanno trovato vicino ad Aguadas, nel punto indicato da Rojas (che per inciso era il capo della sua sicurezza), nelle montagne del dipartimento di Caldas dove operava da qualche anno.
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Le foto che lo ritraggono mostrano una faccia pulita e un sorriso candido che inducono le consuete, compassionevoli riflessioni post mortem, ma il suo profilo e la sua storia non sono molto diversi da quelle degli altri capi, con la variabile peggiorativa di un certo rampantismo in versione guerrigliera che, in giovane età, lo portò a diventare (per decisione di Marulanda) uno dei leader, e a prendere le decisioni accanto a veterani come Reyes e il Mono Jojoy, il capo militare, il cattivo. Al posto di Reyes c’è adesso un altro guerrigliero storico, Joaquín Gómez, e anche Ríos verrà rimpiazzato, ma per le Farc è sempre più difficile contenere l’emorragia. “Si stanno indebolendo”, ha confessato al settimanale Semana Martin Sombra, l’ultimo catturato eccellente nelle file della guerriglia, in carcere da qualche settimana. Sombra è davvero un pesce grosso e sa un sacco di cose. Da 35 anni milita nelle Farc ed è uno degli uomini di fiducia di Tirofojo, che per qualche anno affidò a lui la custodia dei prigionieri importanti come, per esempio, la Rojas e la Betancourt. E’ un guerrigliero tutto d’un pezzo ma fa di tutto per mostrare un buon cuore dietro la faccia da delinquente, per esempio racconta che fu lui a praticare il cesareo a Clara Rojas (aveva qualche nozione di infermeria e la operò con l’aiuto di un manuale), anche se il lavoro venne fuori, ammette, un po’ uno schifo, con le ferite mezzo aperte e una cicatrice terrificante che le sfregia la pancia. “Sono molto orgoglioso che nessun prigioniero mi sia mai scappato”, ha raccontato, e ha poi spiegato che il problema delle Farc non sono i guerriglieri morti o arrestati ma “la corruzione, l’indisciplina e gli abusi con la popolazione civile”, e che la situazione è un po’ cambiata da quando c’è Uribe che ha dato una mossa all’esercito, e anche le Farc hanno dovuto darsi una mossa.
La politica della mano dura del presidente colombiano (praticata con paranoica intransigenza da circa sei anni), sta mettendo alle corde la guerriglia, svuotandola di capi e truppe, smontando il morale. A proposito di morale. Oltre a Raúl Reyes, il bombardamento in Ecuador ha fatto fuori Guillermo Enrique Torres, nome di battaglia Julián Conrado e soprannome “il guerrigliero cantante”, un ideologo di medio calibro e cantante ufficiale delle Farc: componeva i vallenatos rivoluzionari per radio Resistencia, l’emittente della guerriglia, e aveva in curriculum ben sette cd. Torres era un entusiasta e un uomo diretto. In una intervista che gli fecero nel Duemila dichiarò di avere preso le armi perché in Colombia è più facile organizzare una guerriglia che una giunta comunale.
Nel settembre dell’anno scorso era caduto Martin Caballero, il capo del Frente 37, uno dei più agguerriti della costa caraibica, e due mesi prima l’esercito colombiano aveva abbattuto il Negro Acacio, un tipo carismatico il cui incarico era di raccattare soldi per le Farc (una sorta di fund raising), nonché di procurare la base di coca ai cartelli della droga colombiani e messicani. A farlo fuori è stata qualcuna delle 26 bombe che la Forza Aerea colombiana ha sganciato sulle rive del fiume Papunagua in cui Tomás Medina Caracas, il vero nome del Negro, si trovava di base. Acacio era molto amato dai suoi uomini, e forse nessuno di loro sarebbe mai arrivato a farlo fuori come è successo a Iván Ríos. L’assassino di quest’ultimo ha confessato candidamente che, tra i motivi per cui l’ha ucciso, c’era quel fatto della taglia: due milioni cinquecento mila dollari a chi fornisse notizie che permettessero di localizzare il comandante (i capi d’accusa erano terrorismo, omicidio con fini terroristi e tentativo di omicidio ed estorsione, in più c’era la richiesta di estradizione degli Stati Uniti per il sequestro di tre nordamericani nel 2003). Un’altra ragione era che Ríos li stava affamando, a Rojas e ai suoi. L’esercito era sulle loro tracce da giorni e per paura che li intercettasse, il comandante proibì loro di accendere il fuoco. In più, non avevano da mangiare e rischiavano di morire di fame. Fu a quel punto che decisero di ammazzarlo e la fortuna del comandante Iván, giovane stella nell’organizzazione guerrigliera più longeva dell’America Latina, si spense con poco onore, e senza squilli di tromba.
Dopo aver perso in una settimana due tra i suoi migliori uomini (anche Ríos, tra l’altro, aveva svolto un ruolo politico oltre che militare), il Segretariato si organizza con quel che resta: persone meno famose come Iván Márquez o irriducibili come il Mono Jojoy, il capo militare che Sombra accusa di non sparare un tiro da anni. E’ un tipo inquietante il cui vero nome è Jorge Briceño Suáre e che cominciò dal basso, a differenza di Reyes e Ríos. Da semplice soldato diventò uno dei capi, il peggio dell’ala dura, accusato tra le altre cose di avere rapito la Betancourt. Il fratello, Germán Suárez Briceño, è anche lui un guerrigliero con 16 ordini di cattura sul capo, tra cui omicidio e terrorismo con sequestro. L’intellettuale, l’ideologo è Alfonso Cano, che nel Duemila ha fondato il Movimiento Bolivariano por la Nueva Colombia, si chiama Guillermo León Sáenz ed è laureato in legge. Infine c’è Joaquín Gómez, che ha preso il posto di Reyes da cui si distingue per la maggiore vicinanza alla base ma con cui condivide l’iter da quadro di partito: entrambi ex militanti del Juco (la Joventud Comunista) delle rispettive città, studiarono nell’Europa dell’Est (Reyes in Germania Orientale e Gómez a Mosca) e poi entrarono nelle Farc che li mandarono a organizzare fronti guerriglieri nel sud del Paese. Con il tempo, uno si dedicò più alla politica e l’altro alla strategia militare. Quest’ultimo è Gomez: dicono di lui che è allegro e di buon carattere, il tipico costeño.
Splendido articolo, scritto da una splendida giornalista
Ciao Gabriella (G.?). non sapevo del sito, passerò spesso, nonostante le tue “cattive compagnie”…ehehehe non te la prendere e nemmeno tu Cavallì… sto scherzando.
Ah. fonti governative smentiscono che sia morto Julian Conrado, sembra che in realtà si tratti di un ecuatoriano.
Saluti.
Ciao Annalisa, si sono G. Grazie della precisazione, avevo in effetti letto (forse sul tuo blog) che Conrado non era morto. La qual cosa mi fa solo piacere. Quanto alla battuta sulle cattive compagnie, era ottima e massimo non se la prende…..vero massimo?
Preciso: avevo letto che non era morto dopo la pubblicazione del pezzo, adesso lo corrreggo.
Prendermela? E perché mai? A Fort Langley ci insegnano, tra le altre cose, anche a essere persone di spirito. E, visto che ti prepari ad aggiornare il pezzo (pubblicato da Diario – e poi da 2Americhe – a ridosso degli avvenimenti), credo sia utile andare oltre la precisazione di Annalisa, ricordando come quello che pareva essere Conrado fosse in realtà, non un ecuadoriano qualunque, bensì Franklin Aisalla, un ecuatoriano da tempo indagato, in Ecuador, per sospetti legami con le Farc. La cosa – rivelata in dettaglio dai media di tutta l’America Latina (ed anche non latina) – è stata (e tuttora è) fonte di grande imbarazzo per il povero Correa, vuoi per alcuni ancora assai poco chiari legami tra Aisalla ed il ministro dell’Energia Acosta, vuoi per il fatto che lui, presidente della Repubblica, nulla sapendo delle indagini in corso, proprio a causa di Aisalla si è ritrovato nelle proverbiali brache di tela mentre vibratamente protestava per la morte di un civile ecuatoriano. La cosa ha portato ad una piuttosto seria crisi istituzionale in Ecuador, con le dimissioni del ministro della Difesa, Wellington Sandoval, e con un prossimo, probabile terremoto nei servizi d’intelligenza colombiani (da Correa pubblicamente accusati di collusione con la Cia). Come direbbero a Cuba: la cosa está en candela”.
Correzione: i servizi di intelligenza che si apprestano ad essere “terremotati” sono, ovviamente, quelli ecuatoriani